Gli italiani devono ricominciare a
creare,
gestire e dirigere le grandi opere
del nostro Paese. Lo dicono gli
architetti italiani, preoccupati
dall'invasione di nomi stranieri
legati al nostro panorama artistico.
Qualche esempio: la pensilina degli
Uffizi di Isozaki, la nuova Ara
Pacis di Richard Meier e ponte di
Venezia di Santiago Calatrava.
Quindi il Museo di Roma della Hadid
e, a Milano, Santa Giulia di Norman
Foster, la Città della Moda di Cesar
Pelli e il Palazzo della Regione di
I.M.Pei.
Gli architetti italiani esistono,sono
pronti a mettere a disposizione la
propria creatività per l'Italia e
hanno deciso di far sentire la loro
voce. Lo hanno fatto con una lettera
di protesta, indirizzata al
Presidente della Repubblica, al
Presidente del Consiglio e a quelli
di Camera e Senato, nonchè ai
ministri competenti. L'obiettivo:
rilanciare l'architettura italiana
rispetto all'impiego sempre più
massiccio di architetti stranieri
nelle opere pubbliche e artistiche.
L'appello è firmato da 35 architetti
tra cui Vittorio Gregotti, Guido
Canella, Antonio Monestiroli, Franco
Purini, Aimaro Isola, Ettore
Sottsass, Cesare Stevan e Paolo
Portoghesi. Ecco il testo.
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«L'architettura
italiana attraversa una situazione
drammatica. Mentre in altre nazioni
europee, in particolare in Francia,
in Germania, in Spagna, negli ultimi
decenni sono state realizzate grandi
opere di interesse sociale che hanno
trasformato sensibilmente l'ambiente
urbano mettendo a disposizione dei
cittadini nuovi servizi che
esprimono lo spirito del nostro
tempo, in Italia iniziative del
genere si contano sulle dita,
mancano di una meditata
programmazione e si devono quasi
sempre all'intervento di architetti
stranieri. Nel riconoscere il
carattere positivo dell'apporto di
forze culturali esterne non si può
fare a meno di notare che una delle
ragioni della preferenza loro
accordata si deve alle realizzazioni
compiute, realizzazioni per le quali
in Italia sono mancate le premesse
concrete, con la conseguenza di aver
privato gli architetti italiani di
quelle occasioni di lavoro che
avrebbero permesso loro di offrire
un contributo originale all'attuale
stagione di rinnovamento della
architettura».
«Il rischio di
questa situazione è che si
interrompa la continuità di una
ricerca che ebbe inizio negli anni
Trenta del Novecento per opera di un
gruppo di architetti di cui oggi si
celebra in ambito internazionale la
capitale importanza per lo sviluppo
della modernità in architettura;
uomini come Terragni, Gardella,
Albini, Scarpa, Samonà, Libera,
Moretti, Ridolfi. Il naturale
sviluppo della linea di ricerca
iniziata da questi architetti, e
portata avanti con spirito
innovativo da molti degli esponenti
delle generazioni successive,
rappresenta una irrinunciabile
risorsa culturale italiana che non
può essere ulteriormente vanificata
e ignorata, come è avvenuto nelle
ultime edizioni della Mostra
Internazionale di Architettura della
Biennale di Venezia».
«Per
rilanciare l'architettura italiana
anche sul piano internazionale
occorrono una serie di provvedimenti
che riducano l'inerzia dell'apparato
burocratico e consentano libero
accesso ai concorsi al di là di
selezioni basate esclusivamente sul
lavoro già compiuto, selezioni che
precludono alle nuove generazioni
l'accesso agli incarichi più
significativi e bloccano così il
vitale ricambio generazionale. Oltre
a ciò è necessario potenziare il
Darc (la Direzione architettura)
facendone un organo di promozione,
anche per limitare il potere
totalmente autonomo delle
Soprintendenze facendo sì che le
decisioni che riguardano
i nuovi servizi urbani e
territoriali vengano prese non da
una sola persona, ma all'interno di
un consesso in cui siano
rappresentati gli esponenti delle
diverse amministrazioni, mettendo
fine a un diritto di veto che ha
privato l'Italia di molte opere
significative rimaste sulla carta».
«Ci rivolgiamo
alla Presidenza della Repubblica
Italiana, al Governo Italiano, al
Parlamento, al Ministero per i Beni
e le Attività Culturali, al
Ministero delle Infrastrutture e
Trasporti, alla Presidenza della
Biennale di Venezia, alle forze
politiche di ogni tendenza
interessate al futuro delle nostre
città e agli esponenti
dell'amministrazione dei Beni
Culturali più aperti alla
innovazione, perché si impegnino a
modificare una situazione negativa
che ha posto il nostro Paese in
condizioni di inferiorità nel
consesso internazionale». |